Nel 1916, Nissle dimostrò che il fatto di trasferire alcuni batteri prelevati da quello che oggi definiremmo il microbiota intestinale in un portatore sano di febbre  tifoide dava come esito la scomparsa dal suo intestino delle Salmonelle. Questa scoperta fece capire al mondo scientifico che una delle funzioni fisiologiche della flora batterica intestinale consisteva nel proteggere il corpo umano dalla colonizzazione ad opera di ospiti sgraditi.

Da allora si è scoperto che diverse sono le specie di batteri (sia aerobi che anaerobi) che svolgono questa funzione. Per questo motivo tutte queste specie, che sono capaci di conferire al corpo una resistenza alla colonizzazione da parte di batteri estranei, vengono definite probiotici.

L’impatto potenziale che i probiotici possono avere a livello del microbiota (e secondariamente del microbioma) intestinale, sulla mucosa dell’intestino e sul sistema immunitario ad essa associato, oltre che sul sistema immunitario in toto, permette di capire come mai la ricerca su questo tipo di batteri e sugli alimenti funzionali che li contengono abbia attirato tanti fondi negli ultimi dieci anni.

Ma già quello che sappiamo ci permette di affermare con certezza che i probiotici sono destinati a diventare un’arma innovativa per la medicina del futuro e che sarebbe opportuno che tutti i medici imparassero qualcosa di più sul loro utilizzo. O quantomeno che padroneggiassero ciò che oggi si sa con certezza in merito alle indicazioni sui loro utilizzi specifici, sui loro potenziali effetti collaterali e sulle controindicazioni al loro uso.