In principio vi era la microbiologia, una branca della medicina che fin dalla sua nascita si è sempre interessata di microrganismi patogeni. Per quasi duecento anni la microbiologia umana, evolutasi a partire dalle teorie sulla genesi microbica delle malattie postulate da Robert Koch (lo scopritore del bacillo della tubercolosi), si è sempre limitata a considerare i microrganismi come potenziali portatori di patologia. E meno male, perché grazie alle scoperte fatte dalla ricerca microbiologica, siamo oggi in grado di comprendere la genesi di una moltitudine di malattie infettive (e pertanto, di curarle). Fu in seguito alla progressiva scomparsa delle principali malattie infettive che la ricerca microbiologica cominciò a dirigere i suoi interessi anche verso la flora batterica umana.

Il principale limite della microbiologia però, è consistito finora nel fatto che per via di comprensibili limitazioni tecnologiche, si è sempre dovuta affidare alle tecniche di coltura in vitro (che permettono di studiare solo quei microrganismi che è possibile coltivare in laboratorio) per identificare i microbi. Il problema è che la maggior parte dei microrganismi che vivono in simbiosi con l’uomo crescono poco e male nei comuni terreni di coltura che vengono utilizzati per l’isolamento dei germi patogeni (e sono spesso di difficile identificazione). Per tale motivo, la comunità dei batteri simbionti è stata per molto tempo quasi ignorata dagli scienziati.

Con l’avvento della genomica e delle tecniche di isolamento e sequenziamento del DNA (divenuto routinario a partire dagli anni Novanta) però, le cose si sono improvvisamente modificate. E’ cambiato il modo di approcciarsi alla flora microbica in generale e questo ha portato all’identificazione di un mondo che prima era soltanto possibile immaginare.

Nel 2007 un gruppo di ricercatori statunitensi decise di dare origine allo Human Microbiome Project. Questo progetto, che si proponeva come la logica continuazione dello Human Genome Project, aveva lo scopo di definire quali e quanti tipi di batteri vivessero a contatto con l’uomo. Grazie allo sforzo congiunto di circa 800 ricercatori, approfittando di complesse strategie di analisi biostatistica applicate al sequenziamento genomico 16s rRNA (una tecnica che consente di identificare specificamente ogni batterio differenziandolo dagli altri e dalle cellule umane), è stato dunque possibile iniziare a compilare una mappa dei simbionti. Il passo successivo fu quello di procedere all’analisi dettagliata della flora batterica intestinale; nacque così l’American Gut Project grazie al quale è stato realizzato un atlante dei batteri che risiedono nell’intestino dell’americano medio.

Il problema è che l’americano medio vive, si muove e si nutre in maniera radicalmente diversa dall’italiano medio e, dato che è stato ampiamente dimostrato che il microbioma è strettamente collegato alle abitudini di vita dell’uomo, abbiamo ritenuto opportuno dare origine ad un progetto di ricerca autonomo che andasse ad indagare specificamente i microrganismi che vivono in simbiosi con la popolazione italiana. E di realizzarlo utilizzando strategie di crowsourcing e crowdfunding al fine di estenderlo al maggior numero possibile di cittadini. Tutto qui.

Nelle pagine di questa sezione troverete maggiori informazioni su questo progetto e sui dati che ci permetterà di ottenere.