Da quando si è scoperto che i prebiotici hanno un’attività protettiva specifica nei confronti dei batteri probiotici che vivono in simbiosi con l’uomo, gli scienziati hanno iniziato a chiedersi se e come sia possibile stilare una classifica delle sostanze dotate di effetto prebiotico.
Sono nati così una serie di metodi di misurazione dell’efficacia prebiotica tra cui il MPE (Measure of Prebiotic Effect) che misurando la produzione di acidi grassi a catena corta da parte dei batteri permette di valutare indirettamente la loro capacità di assimilazione.
Un’altro standard è costituito dal Prebiotic Index che si usa per misurare l’efficacia degli oligosaccaridi su bifidobatteri, batterioidi, lattobacilli e clostridi combinandoli in una specifica equazione.
Perché tanto interesse per un argomento tanto tecnico? Il motivo è presto detto; l’industria alimentare si sta gettando avidamente sui prebiotici con lo scopo di poter incrementare le caratteristiche salutari di alcuni prodotti. Non deve stupire quindi che ci sia già chi si è intestato brevetti finalizzati a questo scopo.
In realtà per ottenere tutti i benefici che i prebiotici possono conferire alla nostra flora batterica non sono necessari calcoli complicati, ma è sufficiente ricordare che una dieta ricca di prebiotici proteggere la varietà e la ricchezza del microbioma umano selezionando le specie batteriche maggiormente dotate di effetti salutari.