Della serie: è accaduto anche questo, ma almeno usiamolo per imparare come NON utilizzare i risultati di un test del microbioma intestinale. Sintetizziamo un caso clinico in modo da permettere al lettore di coglierne gli elementi essenziali e capire gli errori che non andrebbero mai fatti.
Paziente adulta di sesso femminile, esegue un test whole genome preoccupata per la presenza di gonfiore addominale, aerofagia, eruttazioni. Riferisce numerose evacuazioni durante il giorno di feci discretamente formate, non diarrea. In aggiunta a questo lamenta scarsa energia.
Segue una dieta ricca di fibre, cereali, poca carne, cerca di limitare l’assunzione di carboidrati, vuole capire il perchè del suo gonfiore per potersene liberare. Il test, complessivamente nei limiti, presenta una discreta ricchezza e varietà di specie, non evidenzia percentuali elevate di batteri infiammatori, non segni di permeabilità intestinale. Nella norma la presenza di batteri produttori di SCFA e LPS. Nella norma i batteri che degradano glutine e lattosio. Si evidenzia una scarsità di batteri produttori di vitamine del gruppo B e (udite, udite!) la presenza di alcuni ceppi di C. difficile in quantità leggermente fuori norma.
Per chi non lo sapesse C. difficile è la causa di una colite potenzialmente mortale che si sviluppa in seguito all’assunzione di antibiotici. Quando i batteri della specie C. difficile proliferano in modo eccessivo nell’intestino crasso, rilasciano tossine che causano diarrea, colite e la formazione di membrane anomale (pseudomembrane). Il C. difficile però rappresenta una presenza comune nell’intestino dell’uomo e, quando viene tenuto in equilibrio all’interno di un ecosistema microbico, si dice che non andrebbe assolutamente trattato. Nel caso della paziente in oggetto non vi sono segni di patologia causata dalla presenza del batterio.
Cosa fa invece il medico cui la paziente porta in visione il proprio test? Decide di prescrivere Metronidazolo (Flagyl) 500 mg tre volte al dì da assumersi per dieci giorni. Una prescrizione che lascia molti dubbi, in quanto, oltre che fuori da ogni linea guida (non vi è alcun segno di infezione in atto) è potenzialmente pericolosa in quanto rischia di scompensare un escosistema che fino ad ora teneva a bada elegantemente i ceppi patogeni. Che dire, speriamo che tutto vada per il meglio…
Cosa imparare da questo caso? Un test del microbioma intestinale andrebbe interpretato con un briciolo di cautela e la scelta di intervenire per “ribilanciare” eventuali “disbiosi” (intendendosi con questo termine ogni tipo di anomalia riscontrata nel test) andrebbe fatta soppesando bene i rischi e i benefici di qualsiasi intervento. Per dirla con un motto: attenti a non svegliare il cane che dorme. In quanto, se poi si sveglia, non si sa cosa potrà succedere.