Dimmi come mangi e ti dirò chi sei. Questo antico motto vale sia per l’uomo che per il suo microbioma. Lo dimostra un recentissimo studio pubblicato sulla rivista Cell dal gruppo di ricerca diretto dal Dr. Nicola Segata all’Università di Trento.

Segata e colleghi hanno compilato una sorta di catalogo dei batteri che sono rinvenibili in qualcosa come 2000 cibi differenti che appartengono alla dieta di una moltitudine di popolazioni. Alcuni di questi sono specie che vivono in alimenti fermentati, quali crauti, kimchi o kefir, ma molti sono semplicemente specie autoctone che vivono in simbiosi con determinati prodotti di origine sia animale che vegetale (carne, pesce, formaggi, etc).

L’articolo suggerisce che l’abitudine al consumo di specifici cibi da parte di determinate popolazioni abbia contribuito nel corso di millenni a forgiare il microbioma intestinale degli individui, un fattore questo che permette di dimostrare l’origine delle grandi differenze che si riscontrano nelle popolazioni microbiche delle persone appartenenti a culture differenti.

Bisogna tenere presente che non tutti i microbi che sono presenti nel microbioma intestinale provengono da ciò che si introduce con la dieta ma, sicuramente, la presenza di batteri e funghi negli alimenti contribuisce sia all’arricchimento che alla diversità dell’ecosistema intestinale dell’ospite.

Non bisogna dimenticare infatti l’importanza dei meccanismi di trasferimento genetico orizzontale che si verificano tra i nuovi batteri e la popolazione residente e che sono responsabili delle modificazioni del genoma di questi ultimi. Modificazioni che possono essere sia positive (come nel caso dell’aggiuta di geni per la metabolizzazione di determinati nutrienti) sia negative (come nel caso dell’aggiunta di geni per le resistenze agli antibiotici).