Si sente spesso parlare di “Disbiosi Test”, un termine che si riferisce solitamente alla misurazione nelle urine di due sostanze: scatolo e indicano che sono ritenute due markers di disbiosi.
Si usa dire che quando ad essere alterato è il valore dell’indicano la disbiosi risieda principlamente nelle popolazioni batteriche che vivono nell’intestino tenue mentre, quando è lo scatolo ad essere in eccesso, la disbiosi riguardi principalmente le popolazioni batteriche del colon. Quando entrambi i valori sono fuori scala, la disbiosi riguarderebbe invece l’intero tratto intestinale.
Molti si chiedono (e ci chiedono) se nel 21° secolo, dopo la scoperta della metagenomica, questo test abbia ancora un senso oppure no. La risposta a tale domanda è complessa.
Il disbiosi test permette di avere una panoramica rapida – ma aspecifica – di una possibile disbiosi che riguarda un determinato settore intestinale ma, proprio per via della sua aspecificità, non dà alcuna indicazione approfondita sul tipo di disbiosi in oggetto in quanto analizza l’effetto finale di tale alterazione della flora batterica intestinale. Questo test risulta pertanto utile solo in parte.
Quando un “Disbiosi Test” evidenzia la presenza di una disbiosi intestinale, specialmente quando l’anomalia riguarda i valori di scatolo, sarebbe importante eseguire anche un test del microbioma intestinale, se possibile mediante una analisi di tipo whole-genome, in quanto mediante questo tipo di indagine è possibile caratterizzare specificamente la disbiosi, misurandola e acquisendo maggiori informazioni in merito ai possibili interventi terapeutici.
Questo, almeno, è ciò che possiamo ricavare a partire dalla nostra esperienza.