Molti colleghi che operano nel settore della salute mentale ci hanno scritto dopo la pubblicazione del post di Ottobre per chiederci se esistano negli attuali test del microbioma intestinale specifici profili che possono essere considerati indicatori di rischio per patologie psichiatriche.
Se soltanto cinque anni fa non saremmo stati in grado di rispondere a una simile domanda, dopo il colossale lavoro di review pubblicato su Nature a Febbraio dal gruppo di McGuinness e collaboratori, è oggi possibile dire che sì, esistono alcune anomalie che, sebbene non possano essere considerate patognomoniche di specifici disturbi psichiatrici, si ritrovano regolarmente nei test di pazienti affetti da questo tipo di malattie, a differenza dei controlli sani.
Queste anomalie riguardano la beta-diversità, piuttosto che l’alfa-diversità dei campioni e si riconoscono per la diminuzione dei batteri produttori di butirrato e l’aumento dei batteri associati al metabolismo del glutammato e del GABA, alterazioni che sono chiaramente evidenziabili dai test eseguiti con modalità WGS.
La domanda seguente posta dai colleghi è stata se è possibile modulare il microbioma “psichiatrico” mediante alimenti e/o specifici supplementi. La risposta è affermativa, ma qui il discorso si fa lungo. Un esempio fra tutti? L’utilizzo di dosi sub-terapeutiche di litio (un noto modulatore dell’umore), le quali hanno dimostrato di essere in grado di alleviare l’infiammazione intestinale negli animali da esperimento. E questo è soltanto l’inizio della storia.