Vi fu un tempo in cui le malattie infettive decimavano la nostra specie. E non si tratta nemmeno di un passato tanto lontano. Ancor meno di un secolo fa infatti si moriva regolarmente di polmonite, di meningite, di nefrite, di sifilide; tutte malattie che oggi la moderna farmacologia è in grado di sconfiggere grazie all’uso mirato di antibiotici. In compenso oggi si muore per le complicanze di alcune malattie metaboliche di cui l’obesità è soltanto la punta dell’iceberg.
Con il progredire degli studi sul secondo genoma umano (il microbioma, appunto) alcuni ricercatori si sono accorti che certe malattie sono associate a particolari configurazioni del microbioma intestinale e che la sindrome metabolica e l’obesità rientrano tra queste. Sono stati addirittura isolati alcuni ceppi batterici che paiono predisporre all’obesità e che, quando trapiantati nell’intestino di animali cresciuti in totale sterilità, sono in grado di indurre la malattia ex-novo.
Ma noi sappiamo che, quando una malattia può essere indotta in un individuo trapiantandogli alcuni batteri nel corpo, questa malattia deve essere tassativamente catalogata come “infettiva”. Se prestiamo fede pertanto a queste ricerche, l’obesità dovrebbe essere considerata da oggi in poi come una “potenziale” malattia infettiva. La cosa buffa è che essa non si trasmette da un essere umano all’altro grazie allo scambio di un agente infettante, ma piuttosto grazie all’adozione di comportamenti disfunzionali che tendono a selezionare la presenza nell’intestino di determinati ceppi batterici a scapito di altri.
E in effetti, è vero che stare a contatto con gli obesi alla lunga fa ingrassare ma ciò avviene in virtù di una strana forma di contagio che non può essere curato con antibiotici, ma che addirittura gli antibiotici spossono solo peggiorare. Ma questa è un’altra storia…