Se dobbiamo credere ai dati degli antropologi convertitisi alla ricerca sul microbioma, come Jeff Leach, il principale motivo che permetterebbe di spiegare la grande varietà e ricchezza microbica presente nell’intestino delle ultime popolazioni primitive rimaste sul pianeta, sarebbe da attribuirsi al fatto di nutrirsi di fiori, frutti e foglie provenienti da piante selvatiche.
Questi prodotti vegetali infatti,oltre a contenere quote maggiori di fibre prebiotiche rispetto alle loro varietà domestiche, costituirebbero anche un prezioso serbatorio di microbi che ne caratterizzano il microbiota residente.
L’aggiunta alla dieta di questi prodotti, specie se consumati crudi, o fermentati dal crudo, sarebbe il segreto che permette a popoli come gli Hadza di raggiungere indici di biodiversità microbica ineguagliabili per noi europei.
Eppure non è impossibile, almeno per molti italiani, cercare di ridurre un po’ questo gap cercando di mimare questo tipo di comportamenti alimentari. Quanti tra quelli di voi che vivono in campagna, in zone collinari, o montane, hanno mai pensato di fare parte della spesa nel bosco, anzichè dal verduraio sotto casa? Le nostre nonne lo facevano, ma si tratta di un’abitudine che va progressivamente scomparendo.
Avete mai provato ad andare a cercare bacche, frutti di bosco, fiori, o foglie di piante spontanee da aggiungere alle vostre insalate o macedonie? Qualche idea: mele e ciliegie selvatiche, more, more di gelso, fragoline di bosco, fiori di camomilla, fiori di tarassaco, fiori e foglie di malva, foglie di tiglio, foglie di vite selvatica, asparagi e aglio selvatico, piante di ortica.
Sono solo alcune delle tante specie commestibili che è possibile reperire nei nostri boschi. Variano ovviamente a seconda delle stagioni e delle zone geografiche ma meritano sicuramente di essere riportate sulle tavole, non credete? E ricordate, meglio lavarle il meno possibile se si vuol cercare di mantenere il più possibile intatta la loro flora batterica.