Il termine disbiosi intestinale è oggi molto di moda dato che sempre più spesso lo sentiamo citare tanto nella letteratura scientifica quanto nei news magazines, eppure non sempre esso viene utilizzato con adeguata proprietà di linguaggio. Vediamo perché.

La disbiosi intestinale (considerata come l’opposto dell’eubiosi) altro non è se non uno stato di progressivo impoverimento del microbiota intestinale. In pratica si tratta di una perdita di ricchezza e varietà delle specie batteriche che costituiscono la flora intestinale.

Diagnosticarla oggi è molto facile. Un semplice sequenziamento di microbioma intestinale ci restituirà come primo dato l’indice di ricchezza del campione, e da qui saremo in grado di dedurre se vi sia una condizione di disbiosi e, in caso affermativo, di quale gravità.

Il riscontro di una disbiosi è molto frequente nei soggetti affetti da patologie metaboliche, autoimmuni e in tutti coloro che soffrono di malattie infiammatorie intestinali.

Secondo Sonnenburg la disbiosi sarebbe una condizione endemica di cui soffre l’uomo moderno e deriverebbe dal progressivo impoverimento di fibre fermentabili presenti nella dieta inoltre (cosa ancor peggiore) sarebbe destinata a un continuo e progressivo peggioramento con il passare dei decenni.

Attenzione però, questo è vero soltanto se continuiamo a ridurre la quota di fibre accessibili al microbiota presente nella nostra dieta e a nutrirci di alimenti sempre più raffinati. A buon intenditor…