La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) è un disturbo funzionale intestinale che ha una prevalenza di circa l’11% nella popolazione generale. L’IBS è più frequente nel sesso femminile e nelle fasce di età inferiori ai cinquant’anni.
Il disturbo viene attualmente diagnosticato sulla base dei criteri di Roma IV (revisione 2016), i quali prevedono la presenza di dolore addominale ricorrente per almeno un giorno alla settimana negli ultimi tre mesi, associato a uno o più dei seguenti sintomi: il fatto di essere correlato all’evacuazione, il fatto di essere associato ad un’alterazione nella frequenza delle evacuazioni e il fatto di essere associato ad un’alterazione della forma e della consistenza delle feci. L’obiettivo di questi criteri diagnostici è quello di fornire un set di criteri ripetibili e pertanto applicabili sia a scopo clinico che statistico e di ricerca.
La diagnosi di IBS dovrebbe pertanto essere basata sulla raccolta di una attenta storia clinica, un esame fisico, un limitato numero di esami e, quando ritenuto opportuno dal punto di vista clinico, una colonscopia. Un test del microbioma intestinale, invece, non è utile nè indicato per la diagnosi di IBS; nè serve a differenziarne i sottotipi (IBS con predominanza di costipazione, con predominanaza di stipsi, o con predominanza di abitudini intestinali irregolari).
La diagnosi differenziale prevede l’esclusione di malattie infiammatorie intestinali (di qui l’eventuale utilità di una colonscopia), di intolleranza a fruttosio o lattosio, di colite microscopica, e di morbo celiaco.
Questi semplici conceti ci insegnano che, almeno in certi casi, anzichè prescrivere (o autoprescriversi) un test del microbioma intestinale può essere più opportuno indagare scrupolosamente la sintomatologia lamentata dal paziente.